CHI SIAMO

lottare dal basso


L'autore: è docente della Scuola Pubblica,

professore di Filosofia e Scienze umane e sociali. Fondatore e portavoce per molti anni dei Cobas della Scuola  Torino.

 

interprete di <Marx> cercando di non mummificarlo e di respirare la sua capacità di analisi senza dimenticare che il tempo passa e occorre aggiornare le tesi.

Correggere anche le analisi insufficienti e perciò errate.

Non fermarsi alle interpretazioni dogmatiche, buone per le liturgie e le "ortodossie", ma inutili e persino fuorvianti come strumenti di analisi e applicate pedestremente.


La contraddizione principale della nostra epoca:

 

è tra coloro che stanno in Basso e coloro che stanno in Alto.

 

Anche se non tutti coloro che stanno in basso hanno "consapevolezza"  della loro condizione,  loro malgrado, sono accomunati dalla stessa sorte.  E'  solo questione di tempo.

 



Nel mondo la concentrazione della ricchezza ha raggiunto sproporzioni enormi:  una ristretta OLIGARCHIA (di super-ricchi) detiene la gran parte delle risorse,  mentre la maggioranza della popolazione mondiale si impoverisce.

 

La classe media aumenta numericamente solo temporaneamente poi per effetto della concentrazione capitalistica, si riduce o è destinata a ridursi e si ritrova accomunata nella precarietà con le classi meno abbienti.

 

Aumenta la disperazione e la paura del futuro.

 

L'ambiente subisce un deterioramento senza precedenti.

 

 

 

 

La privazione della libertà di opinione, che il marxista sciocco ed economicista riterrà probabilmente sovrastrutturale, è invece pienamente strutturale. Se infatti la cosiddetta “struttura” consiste nella dinamica dialettica fra la crescita delle forze produttive sociali e la natura classista o meno dei rapporti sociali di produzione, allora il fatto che questa dinamica dialettica avvenga in regime di libertà d’espressione o viceversa in regime di repressione statale di quest’ultima fa parte della struttura, non della sovrastruttura. (C. Preve)

 

Le parole sono pietre.


La “Sinistra” tra smarrimento, nevrosi, contraddizione, parossismo da perdita del comando.

 

La parabola mutagena della cosiddetta sinistra inizia molti decenni addietro e vanta nomi insospettabili (Lama, Berlinguer, Napolitano, ecc…).

Constatata l’impossibilità di rovesciare il capitalismo o di riformarlo, l’allora PCI scelse la strada del compromesso storico (in politica) e della concertazione (nell’azione sindacale). Le due gambe strategiche della sinistra di allora davano per scontata l’impossibilità di modificare i rapporti di forza tra Capitale e lavoro, perciò sceglievano la strada dell’adattamento.

Adattarsi alle condizioni date è anche una strategia naturale delle speci quando si adattano all’ambiente e alle sue mutazioni, quindi nessun stupore per tale scelta degli umani nell’azione politica.

Tuttavia occorre sottolineare che ci sono diversi modi di adattarsi: adattarsi temporaneamente in base alle circostanze sfavorevoli per affermare in seguito la propria identità; oppure uniformarsi, identificarsi con le condizioni date, tradire la propria natura, e nell’adattamento sociale/politico: saltare il fosso e sposare completamente le modalità comportamentali dell’avversario di classe.

Dal PCI al PD la mutazione genetica ha percorso tutte le forme di adattabilità tranne la prima sopraelencata.

Insieme all’involuzione dell’immenso pachiderma-partito del PCI-PD si è mosso il circo mediatico “intellettuale” che ha accompagnato la metamorfosi conformandosi al PENSIERO UNICO di matrice neoliberista-ultraimperialista.

Così, mentre la globalizzazione spazzava e continua a spazzare le comunità, le loro culture autoctone, le loro identità, il pensiero si uniforma a sostegno di questo nuovo quadro politico.

Sul piano materiale, l’adattamento si traduce nell’appiattimento delle condizioni di vita e nella sua precarizzazione, mentre sul piano delle idee l’adattamento diventa conformismo al pensiero glabale, ove per globale si deve intendere a favore tout court della globalizzazione!

In tale senso le lobby del potere finanziario esercitano una fortissima pressione che si avvale di tutti i mezzi possibili: tv, giornali, radio, cinema, quasi tutti gli operatori dei media più importanti sono schierati a magnificare le doti della globalizzazione. Tutt’al più qualcuno, vinto dal senso del pudore, ogni tanto, critica molto tiepidamente qualche effetto collaterale della globalizzazione, senza mai approfondire l’analisi e senza comunque metterla in discussione.

In questo quadro darwiniano di adattamento della specie “uomo globalizzato”, la guardia pretoriana degli interessi economici legati alle classi dominanti è rappresentata in prima linea proprio dalla “sinistra” e dalle sue pavide o sgangherate varianti.

In Italia, questo parossistico inseguire il dio mercato, la competizione, la liberalizzazione, la deregolamentazione (tutte parole d’ordine della cd. “sinistra”! (sic)), si è tradotto in un’occupazione dei posti di governo e, soprattutto, di sottogoverno per meglio oliare la gigantesca macchina dei profitti.

Abbiamo assistito nei quattro decenni che ci precedono, ad un forsennato sgomitare di “pretoriani del progresso” per occupare le poltrone e i lauti compensi. Il loro proporsi come kapò dell’ultraliberismo li ha allontanati dalle masse popolari sempre più disgustate da questo indegno spettacolo.

Inoltre, la cosiddetta “sinistra”, ogni volta che ha raggiunto posizioni di potere (dal piccolo comune al governo del Paese) si è particolarmente distinta per perseguire politiche ferocemente antipopolari e per demolire sistematicamente decenni di lotte e di conquiste dei lavoratori.

Ora ad ascoltare personaggi come Renzi, Orfini, Boschi, Calenda, Esposito, Migliore, sembra di sentire il coro monocorde e terrorizzato di coloro che hanno perso la loro poltrona-funzione, ossia il diritto acquisito per investitura dalla Grande Finanza, (che li usa come utili idioti, salvo sbarazzarsene se e quando non gli servono più). Questi valvassori della globalizzazione si stupiscono del fatto che le masse popolari abbiano trovato in altre formazioni politiche rappresentanze più adeguate; così i loro corifei “intellettuali” da circo, si sgolano per rappresentare le politiche altrui come idee populiste di destra!

Non gli balena neppure per un attimo, ad esempio, che molte posizioni programmatiche del M5stelle affondano nel pensiero politico di Adriano Olivetti che in netto anticipo sui tempi aveva intuito che la salvaguardia delle comunità era una strada obbligata per combattere un capitalismo deleterio.

I minus habens “intellettuali da strapazzo” e i pretoriani del pensiero unico, non si sono accorti che milioni di operai, contadini, piccoli artigiani, impiegati, piccoli imprenditori, si rivolgono alla Lega (nei quartieri operai ad esempio!) e al M5Stelle in cerca di una difesa dalla devastazione dei livelli salariali e occupazionali, dalle assurde concessioni alle grandi multinazionali che sono totalmente detassate rispetto a loro e dal progressivo smantellamento dei BENI COMUNI dalla scuola al welfare.

La difesa della COMUNITÀ E DEL WELFARE, LA DIFESA DEI DIRITTI DEI LAVORATORI, LA DIFESA DELL’OCCUPAZIONE DALLA DELOCALIZZAZIONE, sono gli orizzonti entro cui si muove la gran parte delle masse popolari.

Su questa linea “maginot” dei diritti sociali si muove il consenso temporaneamente dato alle forze politiche, non alle distinzioni demagogiche tra “destra” e “sinistra” che sono diventate parole vuote agli occhi della gente, o alle stucchevoli distinzioni tra populismo e governismo.

 

 

Capire queste distinzioni vuol dire affilare l’analisi con gli strumenti di Marx, il resto sono chiacchiere da salotto, buone solo per gli inutili e noiosissimi talk show che stanno tanto a cuore al circo mediatico.